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Riassunto

Esiste una definizione di linea retta? La risposta è una di quelle che non ci si aspetta in matematica: dipende dal contesto. Vediamo perché.

Qualche settimana fa un amico mi ha scritto:

Io e mia figlia stiamo discutendo della definizione di retta. Lei sostiene che non ci sia una definizione di linea retta, io dicevo che è la linea che passa da due punti e che si estende all’infinito. Chiedo un aiuto!

Una fantastica domanda apparentemente semplice: esiste una definizione di linea retta? La risposta è una di quelle che non ci si aspetta quando si parla di matematica: dipende dal contesto.

Il problema del punto di partenza

La matematica procede definendo nuovi concetti a partire da concetti già definiti in precedenza e dimostrando nuovi teoremi o proprietà usando come punto di partenza teoremi già dimostrati.

Ad esempio, per definire cos’è un poliedro dovremo usare la parola poligono, per definire cos’è un poligono dovremo usare la parola segmento, per definire cos’è un segmento dovremo usare le parole retta e punto (ricordate? La parte di retta compresa tra due punti detti estremi!).

Si pone quindi un problema fondamentale: da dove si parte con le definizioni dei concetti matematici?

Nel linguaggio comune non c’è un preciso punto di partenza. Se andiamo a ritroso nelle definizioni delle parole in un dizionario, prima o poi torneremo a una parola già cercata in precedenza.

Per fare un esempio, riporto di seguito alcune definizioni tratte dal dizionario Treccani.

Casa: costruzione eretta dall’uomo per propria abitazione.

Abitazione: luogo che l’uomo costruisce, oppure sceglie o adatta fra quelli che a lui si offrono nell’ambiente naturale, come ricovero, stabile o temporaneo, per sé e per il suo gruppo familiare […]

Luogo: in senso ampio, una parte dello spazio, idealmente o materialmente circoscritta.

Spazio: il luogo indefinito e illimitato in cui si pensano contenute tutte le cose materiali […]

Eccoci entranti in un loop dove la definizione di luogo usa la parola spazio e la definizione di spazio usa la parola luogo.

La geometria Euclidea

Il grande merito del matematico Euclide è stato quello di capire che in matematica non si poteva accettare questa situazione con definizioni circolari, altrimenti non ci sarebbe stata chiarezza nel significato delle parole utilizzate. L’alternativa era allora quella di partire da dei concetti che non vanno definiti, ma che si considerano primitivi.

Di questi concetti primitivi vengono affermate alcune proprietà, dette assiomi o postulati, non dimostrabili. I concetti primitivi e gli assiomi sono il punto di partenza per dedurre e dimostrare una serie di conseguenze.

Affresco che mostra Euclide circondato dai suoi allievi che traccia delle figure geometriche su una tavoletta appoggiata per terra.
Euclide che insegna ai suoi allievi, particolare dell’affresco “Scuola di Atene” di Raffaello.

Oltre ad aver avuto questa intuizione, Euclide l’ha realizzata individuando 5 assiomi su cui poteva basare tutta la geometria. In questi assiomi compaiono una serie di parole di cui non viene data la definizione, ad esempio: “punto”, “linea retta”, “distanza”.

Come prima conclusione possiamo allora dire che dal punto di vista della geometria euclidea non esiste una definizione di linea retta e tale concetto è uno degli enti primitivi da cui si parte.

Come spiegarlo ai bambini?

Nonostante la mancanza di una vera definizione, in molti testi scolastici, soprattutto delle scuole elementari, si possono trovare dei tentativi di definizione. Nel libro di mia figlia c’è scritto che la retta è una linea che non ha inizio né fine, e viene contrapposta al concetto di semiretta (ha un inizio ma non una fine) e segmento (ha un inizio e una fine).

La definizione è ovviamente molto discutibile: anche una parabola non ha un inizio né una fine, ma non è una retta. Capisco che la tentazione di dare una definizione è forte e che l’obiettivo è di dare ai bambini delle certezze. Eppure, questo approccio può creare un po’ di smarrimento in futuro quando al bambino verrà insegnata una definizione non rigorosa diversa, oppure quando gli verrà detto che non esiste una definizione.

D’altra parte, anche spiegare ai bambini delle elementari che non esiste una definizione potrebbe essere complicato. Si tratta di un difficile dilemma per le insegnanti della scuola primaria.

La storia però non finisce qui…

Gli assiomi dell’aritmetica

L’approccio assiomatico di Euclide fu un modello poi riutilizzato in altre parti della matematica e anche in altre discipline, l’idea è: fissiamo i punti di partenza e poi deduciamo tutto il resto.

Una cosa simile è stata fatta nell’ambito dell’aritmetica. Qui la difficoltà principale è definire cos’è un numero naturale. È paradossale, ma succede sempre così, i concetti più semplici sono anche i più difficili da definire in modo rigoroso!

Nell’800 vennero proposti diversi tipi di assiomi, tra cui quelli conosciuti come assiomi di Peano sui quali si potesse basare lo studio dei numeri naturali e di conseguenza tutta l’aritmetica (visto che dai numeri naturali non è difficile poi definire gli altri tipi di numeri: interi, razionali, reali).

Immagine in bianco e nero del matematico Giuseppe Peano.
Il matematico italiano Giuseppe Peano (Spinetta di Cuneo 1858 – Torino 1932)

Gli assiomi della matematica moderna

Nel corso del ‘900 i matematici portarono a termine un’impresa notevole: trovarono un sistema di assiomi sui quali basare TUTTA la matematica.

Si capì che i concetti primitivi più utili erano quelli di insieme, di elemento di un insieme e di appartenenza di un elemento a un insieme. Questi concetti, abbinati ad un numero di assiomi che può variare a seconda di diversi approcci, formano il punto di partenza della matematica moderna. L’approccio più diffuso è quello che viene indicato con l’acronimo ZFC che sta per Zermelo-Fraenkel (due matematici che contribuirono a stabilire questi assiomi). La lettera C sta ad indicare che viene utilizzato anche un assioma detto l’assioma della scelta (C per choice, cioè scelta in inglese). Quindi con ZFC si indica l’insieme degli assiomi più popolare tra i matematici in questo momento storico.

La cosa notevole è che a partire da questi assiomi si può da un lato definire in modo rigoroso cos’è un numero naturale, e dall’altro definire anche i concetti geometrici di punto, retta, piano, unificando in un unico sistema le due principali branche della matematica: l’aritmetica e la geometria.

E allora come si definisce la retta?

Questo non è così facile da spiegare senza entrare in dettagli tecnici.

Diciamo che nella matematica moderna vengono definiti diversi tipi di insiemi chiamati spazi e in molti di questi si può definire un concetto di linea retta. Si può definire cos’è una retta negli spazi vettoriali, negli spazi affini, nelle varietà differenziabili o negli spazi proiettivi. Tutti questi sono “tipi di insiemi con particolari caratteristiche”.

L’oggetto matematico che più si avvicina al concetto di retta della geometria euclidea si trova nei cosiddetti spazi affini euclidei e la retta è definita come un sottospazio affine di dimensione 1. Tuttavia, questi concetti si studiano solamente a livello universitario, per cui per la maggior parte delle persone hanno poco significato.

Definiamo la retta nel piano cartesiano

Possiamo tuttavia vedere un esempio più semplice: come dare una definizione di retta nel piano cartesiano.

Quando si studia il piano cartesiano a scuola si dice che ad ogni punto del piano vengono associate due coordinate $(x,y)$. L’idea è che possiamo invertire la logica e dire che un punto è la coppia di valori $(x,y)$.

Visto che il concetto geometrico di punto è difficile da definire, lo si sostituisce con una sua rappresentazione equivalente e cioè con le sue coordinate.

Con lo stesso approccio possiamo allora dire che una retta nel piano cartesiano è l’insieme dei punti del piano (cioè di coppie di valori) che soddisfano un’equazione del tipo $ax+by+c=0$ dove $a, b, c$ sono tre numeri reali (con $a$ e $b$ non entrambi nulli).

Ad esempio, una retta è formata dalle coppie di valori $(x,y)$ che soddisfano l’equazione $2x + 4y – 5=0$.

Grafico della retta di equazione 2x+4y-5 nel piano cartesiano.
Immagine della retta corrispondente all’equazione $2x + 4y – 5=0$ nel piano cartesiano. Si possono definire le rette nel piano cartesiano come insieme di punti che risolvono una equazione del tipo $ax+by+c=0$ (con $a$ e $b$ non entrambi nulli).

Dimostriamo i postulati di Euclide!

Con queste definizioni di punto e retta tutti quelli che erano i postulati di Euclide diventano dei teoremi dimostrabili.

Dimostrazione del primo postulato di Euclide

Ad esempio, il primo postulato di Euclide afferma che dati due punti distinti è sempre possibile trovare una retta passante dai due punti.

Per dimostrarlo nel contesto del piano cartesiano è sufficiente far vedere che dati due punti $A$ e $B$ qualsiasi, cioè due coppie di coordinate $(x_A, y_A)$ e $(x_B, y_B)$, si può sempre trovare l’equazione di una retta che ha le due coppie di coordinate tra le soluzioni, questo significa che “passa” per i due punti (trovare l’equazione della retta passante per due punti è un tipico esercizio di matematica delle superiori).

Si può dimostrare che la retta che ha i seguenti parametri:

$$\left\{ \begin{array}{l} a= y_A-y_B\\ b = x_B-x_A \\ c= x_Ay_B-x_By_A\end{array} \right.$$

passa dai due punti $A$ e $B$ ed è l’unica ad avere questa caratteristica.

Dimostrazione del quinto postulato di Euclide

Anche il famoso quinto postulato di Euclide si può dimostrare (non approfondisco qui perché sia famoso, vedi i riferimenti alla fine dell’articolo). Esso afferma che per un punto esterno ad una retta passa una sola retta parallela alla retta data.

Cerchiamo ad esempio le rette passanti per il punto di coordinate $(0,5)$ che siano parallele all’asse $x$. L’asse $x$ è la retta di equazione $y=0$. Tutte le rette passanti per il punto $(0,5)$ tra cui cercare la retta parallela sono della forma $y=kx + 5$ per un qualche valore di k.

Animazione che mostra le rette passanti per il punto (0,5) e il punto di incontro delle rette con l'asse x.
Animazione che mostra alcune delle rette passanti per il punto $(0,5)$. Il punto $P$ rappresenta l’intersezione tra la retta e l’asse $x$. L’unica retta che non interseca l’asse $x$ è quella con coefficiente angolare uguale a zero.

Possiamo cercare i punti in comune tra questa generica retta e l’asse $x$, in pratica dobbiamo cercare le soluzioni del sistema:

$$\left\{ \begin{array}{lcl} y=kx+5 & \quad & \text{retta con inclinazione }k\text{ passante per il punto }(0,5)\\ y=0 & \quad & \text{equazione dell’asse }x\end{array} \right.$$

Il sistema si risolve facilmente tramite l’equazione $kx+5 = 0$. Se $k\neq0$ la soluzione è $x = -5/k$. Se $k=0$ si ottiene l’equazione $0x=-5$ che è impossibile (cioè non ha soluzioni).

Questo significa che per tutti i valori di $k$ diversi da zero le due rette si intersecano, mentre solamente per $k=0$ le due rette non hanno punti in comune e sono quindi parallele. Esiste quindi una sola retta passante per $(0,5)$ e parallela all’asse $x$, quella associata al parametro k=0.

Non si tratta di una dimostrazione generale perché abbiamo preso un punto e una retta particolari, ma la stessa logica si può adattare ad un caso generico con qualche calcolo in più.

Si tratta di un esempio utile per capire come in certi contesti (nel nostro caso nel piano cartesiano), si possono definire in modo rigoroso alcuni concetti che un tempo erano considerati non definibili e dimostrare quelli che erano considerati degli assiomi non dimostrabili.

Conclusione

Per la matematica antica e in particolare per la geometria Euclidea il concetto di linea retta è primitivo e non definito, utilizzato come punto di partenza per definire gli altri elementi geometrici (e questo è ciò che viene insegnato a scuola), nella matematica moderna è possibile definire in modo rigoroso cos’è una retta ma richiede un po’ di lavoro e si studia solamente all’interno di corsi universitari specifici.

Per approfondire

Immagine di copertina di Andrea Piacquadio: https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-ritratto-di-donna-in-top-rosso-che-indossa-occhiali-con-cornice-nera-in-piedi-davanti-al-pensiero-di-sfondo-bianco-3762807/

EnricoDeg

Vivo a Verona e insegno matematica e fisica in un liceo cercando di far comprendere agli studenti la bellezza e l'utilità delle materie scientifiche. Precedentemente ho lavorato per 12 anni nel settore della finanza occupandomi di risk management, modelli stocastici per il pricing di derivati e applicazioni IT in ambito bancario. I miei interessi comprendono gli scacchi, il go, la chitarra, la pallavolo, lo snowboard e ovviamente scrivere e leggere di matematica e fisica!

Questo articolo ha 7 commenti

  1. AndreaP

    Come sempre molto interessante.
    Apprezzo in particolare la scelta degli argomenti e lo sforzo divulgativo orientato non solo alla comprensione ma anche alla stimolazione della riflessione sui concetti per meglio apprezzarli.

    1. admin

      Grazie del commento, mi fa molto piacere.

  2. Alessandro

    Buongiorno Enrico,
    ti chiedo scusa se sono venuto a rompere le scatole sul tuo blog!
    Sono uno studente un po’… attempato (ho ripreso ingengeria dopo anni, ho passato i 40, lo so sono pazzo).
    Quando si riprendono gli studi dopo periodi di tempo più o meno lunghi, occorre spesso riprendere concetti di matematica di base.
    Senza farla troppo lunga, fra spazi vettoriali e via dicendo sono arrivato alla… retta!
    Mi sono accorto che non è un concetto così facile da definire: forse l’età porta anche a riflettere su cose che a volte possono sembrare banali.
    Cerca e ricerca sono capitato in questo posto (grazie di esistere).

    Il problema è che la definizione di retta (quella che descrivi in questo sito, come le altre che ho trovato) mi sembra circolare.
    Il piano cartesiano è definito da due assi, che di fatto sono due rette che si incrociano nell’origine. Anche non volendo pensare agli assi come rette, e volendo pensare a un sistema di coordinate, si potrebbe pensare alla retta come un insieme di coppie ordinate di numeri reali che soddisfano una equazione, però a questo punto il problema diventa doppio: le coordinate, di fatto, sono delle distanze dagli assi (che devono essere due rette, altrimenti come si può definire il piano?) e, per definire le distanze dagli assi, occorre pensare al piano cartesiano come uno spazio vettoriale normato.

    Ho provato a pensare e ripensare a qualcosa che facesse intuitivamente riferimento al solo concetto di insieme, eventualmente non numerabile:

    dato lo spazio geometrico tridimensionale Z, posso definire la retta r come:

    un insieme r non limitato e non numerabile di punti dello spazio Z tale che, presi due suoi punti A e B qualunque, il più piccolo sottoinsieme non numerabile S (che posso definire segmento AB) dello spazio Z formato dai punti che congiungono A a B è formato da soli punti di r. S è quindi anche sottoinsieme di r.

    In questo modo non mi occorrono coordinate né altro: in teoria faccio semplicemente riferimento alla “quantità” di punti di un insieme.

    Mi farebbe piacere avere un tuo parere, perché è facile prendere cantonate.

    Grazie ancora e scusa il disturbo

    Alessandro

    1. admin

      Ciao Alessandro, l’idea è questa: definiamo il piano cartesiano come l’insieme di coppie di numeri reali (x, y). Tecnicamente si può indicare con il prodotto cartesiano R x R. Questa definizione è puramente insiemistica. Ciascun elemento del piano (cioè una coppia di valori) viene chiamato “punto”. Gli assi cartesiani, il fatto che i due valori x e y siano le distanze del punto dagli assi cartesiani, sono dei modi di interpretare e visualizzare questa situazione, utilissimi, ma che non fanno parte della definizione. Non c’è bisogno di definire cosa sono gli assi cartesiani per definire cos’è una retta. Una retta è un sottoinsieme di R x R formato da tutte le coppie di valori che soddisfano una certa equazione (quella nell’articolo). Gli assi cartesiani rientrano in questa definizione e sono perciò delle rette particolari, ma non servono per definire il concetto di retta. Quando ci viene proposto il piano cartesiano a scuola si fa il contrario. Si immagina di avere inizialmente un piano geometrico e di aggiungere delle coordinate rispetto a due particolari rette. Dal punto di vista didattico ha senso, ma dal punto di vista formale è più facile partire invece da concetti insiemistici e lasciare che la parte geometrica sia una nostra interpretazione di questi insiemi particolari. Una situazione simile si ha quando rappresentiamo gli insiemi con i diagrammi di Venn. Il diagramma non è l’insieme, ci aiuta a lavorare con gli insiemi. Allo stesso modo, ogni volta che tracciamo il piano cartesiano stiamo rappresentando graficamente un concetto astratto. Quel disegno non è l’insieme R x R, è la rappresentazione grafica dell’insieme R x R. Riguardo all’approccio che suggerisci tu bisognerebbe definire prima in modo chiaro quali sono i punti “che congiungono” altri due punti. Dal senso della frase mi sembra sottointeso che intendi “che congiungono A e B lungo la linea retta passante da A e B” per cui per definire bene quel “che congiungono” bisognerà definire il concetto di retta in altro modo.

  3. Alessandro

    Ciao Enrico, anzitutto grazie della risposta: davvero gentilissimo.

    Anzitutto mi sono accorto che, dietro a concetti apparentemente banali, ci sono argomenti tutt’altro che scontati. Il bello delle materie scientifiche è proprio che su questi problemi poi nasce il confronto.

    Io sono partito dalla considerazione di Euclide, cioè che per due punti passa una e una sola retta. Leggendo un po’qua e un po’la (in rete si trovano parecchi documenti interessanti), ho scoperto che algebra e geometria erano, in origine, separate: poi ci si è accorti, dai problemi reali, della necessità di unirle.

    Nel postulato di Euclide, di fatto, non si trovano numeri né coordinate. Perché poi è proprio quello che mi ha turbato.
    Se non ho un riferimento, cioè se prendo delle semplici coppie di numeri di RxR, come faccio a stabilire cosa è retta e cosa no? Se parto dal postulato di Euclide, devo fare in modo che quelle coppie “appartengano” alla corda tesa fra due punti (proseguendo poi all’infinito), e quindi ho bisogno di un sistema di assi coordinati e, di conseguenza, della nozione di distanza (e quindi di norma). Se non ho un sistema di assi coordinati, non sono in grado di posizionare le coppie di punti nel piano.
    Se invece parto dal punto di vista puramente insiemistico, allora basta le coppie rispettino una equazione. Cosa poi possano descrivere non si sa, perché a quel punto potrei anche inventarmi assi cartesiani non ortogonali o non rettilinei.

    L’idea dei punti che “congiungono” era proprio derivata da Euclide: lui prende due punti e li congiunge, poi di fatto prolunga il segmento e definisce la retta. Io mi sono chiesto: come faccio a “prolungare all’infinito il segmento”? E da lì ho cercato di farmi una idea, senza mai coinvolgere dei numeri (al punto che, per sfruttare la proprietà di densità di R, ho specificato insieme non numerabile di punti… altrimenti potevano esserci dei “buchi”).

    Se io prendo “il più piccolo” sottoinsieme dello spazio geometrico formato da punti che formano un percorso da A a B (intendevo quello con “congiungono”), non posso formare una linea curva: a quel punto ci sarebbe un altro sottoinsieme dello spazio, più piccolo, formato da punti che portano da A a B.
    Dicendo “il più piccolo” non ho adoperato il concetto di distanza, ma di quantità di punti anche se non numerabile.

    L’idea è proprio svincolarmi del tutto di numeri, e adoperare solo insiemi… che dici?

    Grazie ancora.

    Alessandro

  4. admin

    Il problema è lo stesso di prima, rendere l’idea dei punti “che congiungono” A e B rigorosa. L’idea del percorso più breve tra due punti può funzionare (corrisponde in matematica al concetto di geodetica) ma richiede un sacco di definizioni per essere ben definita (cos’è un percorso, cos’è la distanza) per cui il problema è anche di convenienza. La struttura attuale è semplice, funziona bene e a partire dal concetto di insieme permette di definire in modo rigoroso cosa sono gli elementi geometrici. Ci vogliono degli ottimi motivi di convenienza per cambiare approccio. Nei postulati di Euclide non ci sono numeri, solo concetti geometrici, questo era l’approccio dell’antichità. Andava benissimo, ma aveva l’inconveniente di tenere separate la geometria e l’aritmetica. L’approccio moderno che si basa sugli insiemi ha il vantaggio di dare una base comune ad entrambe queste parti della matematica. Coordinate non ortogonali e non rettilinee si possono benissimo definire, ad esempio le coordinate sferiche o cilindriche che è utile introdurre nei problemi che hanno particolari simmetrie e (per andare su argomenti più complicati) in generale sulle varietà differenziabili. Ti correggo su un punto: Euclide non definisce cosa sia la retta. È importante distinguere ciò che è una spiegazione colloquiale per capire un concetto (prolunga un punto in modo dritto senza curvare…) e cos’è una definizione rigorosa. Nella geometria Euclidea i concetti di punto, retta, piano, spazio non vengono definiti, sono concetti primitivi. Anche in questo l’approccio moderno è superiore e preferibile perché il numero di concetti primitivi è molto minore (sostanzialmente i concetti di “elemento” e di “insieme”).

    1. Alessandro

      Buonasera Enrico,
      ancora una volta grazie.
      Pensa che tutto il problema è nato ristudiando i complessi. Finché si tratta di adoperarli come coppie di numeri reali nessun problema, salvo il fatto che diventa un po’ logorante farci dei calcoli.
      Poi in forma algebrica diventa un po’ più facile: il problema diventa passare alla forma geometrica, che è quella serve in elettronica (in realtà ero andato avanti in passato, e avevo interrotto, però non sono a digiuno di certi concetti).
      Perchè il modulo è una norma (di fatto una distanza), e la norma è definita su spazi vettoriali reali o complessi… in pratica sono entrato in una definizione circolare (forma geometrica di un numero complesso che richiede di avere definito cosa è uno spazio vettoriale complesso). Da lì la ricerca di un approccio meno matematico e più geometrico.
      Ecco perché, ad esempio, parlando di percorso non avevo mai parlato di distanza: il problema era proprio definire la distanza senza passare per il concetto di spazio vettoriale.
      In pratica mi sono accorto di avere sempre adoperato i numeri complessi, senza però avere apprezzato alcuni concetti che ne sono alla base, come ad esempio l’isomorfismo fra “numeri reali” e “numeri complessi reali” (cioè a parte immaginaria nulla).
      A volte la matematica dà dei modelli, che è comodissimo adoperare, fino però al momento in cui capisci di non averli capiti… e ti rendi conto che li hai sempre adoperati senza sapere come sono fatti.
      Ancora grazie del tuo contributo, magari ci fossero tante persone così disponibili!
      Alessandro

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